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La concezione del lavoro – l’evoluzione nel tempo

La concezione del lavoro nella storia

Il lavoro, in generale, è definito come “una attività umana rivolta alla produzione di un bene, di una ricchezza, o comunque a ottenere un prodotto di utilità individuale o collettiva”. Ma definire il concetto di lavoro non è altrettanto semplice, in quanto la percezione del suo significato varia in base all’epoca storica e alla cultura. Nell’antica Grecia l’idea di libertà e gentilezza è strettamente congiunta all’affrancamento dell’individuo dalla fatica del lavoro manuale. Questo è appannaggio esclusivo dei servi e degli schiavi. Platone nella Repubblica afferma che la divisione del lavoro è alla base della creazione di una comunità di cittadini, ma ai lavoratori è esclusa la possibilità di far parte del governo della polis. Per Aristotele il lavoro avvilisce l’intelligenza e nella Politica afferma che l’uomo ha bisogno di ozio per sviluppare le virtù e le attività politiche. Molto diversa è la visione della cultura cristiana. Il lavoro assume una duplice connotazione, è allo stesso tempo fatica fisica e purificazione spirituale. A dimostrazione di ciò la regola “ora et labora” di San Benedetto prescrive sia la preghiera che il lavoro manuale come attività necessarie, anche se è indiscutibile la superiorità della prima sulla seconda. La concezione cristiana del lavoro si indebolisce nella società moderna.

Con il Rinascimento la centralità dell’uomo, l’individualismo, la volontà di dominare e il gusto per il lusso, si traducono in un nuovo tipo di impresa economica. La Riforma Protestante del XVI secolo afferma la legittimità di accumulare le ricchezze e pone le basi per la nascita del Capitalismo. Durante l’Illuminismo il lavoro meccanico viene equiparato alla contemplazione filosofica. Se Bacone vede nella storia delle arti meccaniche la più importante branca della vera Filosofia, Colbert considera l’industria e l’impianto delle manifatture come una ricchezza per gli uomini. Nei Lineamenti di filosofia del diritto del 1820, Hegel sottolinea come la soddisfazione dei bisogni e l’umanizzazione della natura, realizzati grazie al lavoro, consentano una vera costruzione sociale. L’appagamento dell’uomo avviene tramite la realizzazione di prodotti e per soddisfare la continua moltiplicazione dei bisogni è necessaria la divisione del lavoro. Tuttavia Hegel nei suoi scritti critica con fermezza le conseguenze negative della divisione del lavoro: il lavoro diviso è un “lavoro morto” o un “lavoro di macchina” che spoglia il lavoratore dalla sua umanità. Hegel ha assegnato al lavoro un ruolo centrale nel processo di riconoscimento dell’uomo, ma è Karl Marx che ne fa insieme un canone antropologico e un criterio per definire l’organizzazione sociale. E’ nell’opera L’ideologia tedesca del 1845, che Marx afferma che l’uomo crea la propria natura attraverso il lavoro. E’ la produzione dei mezzi di sussistenza, infatti, che distingue l’uomo dagli animali.

L’essenza umana non risiede nell’interiorità o nella coscienza, ma nell’esteriorità del lavoro e nella produzione come mediazione con la natura.

Nel 1911 Frederick Winslow Taylor con la pubblicazione de L’organizzazione scientifica del lavoro teorizza una nuova concezione del lavoro, basata su leggi scientifiche e razionali. Taylor parte dal presupposto che il lavoro manuale possa essere razionalmente analizzato e che possa essere scomposto in sotto-unità. Con questo metodo si può mirare al controllo di ogni singolo atto della catena produttiva al fine di ridurre al minimo l’uso delle risorse sia in termini di tempo che di materiali, massimizzando l’efficienza. Nell’ideologia taylorista è indispensabile “porre l’uomo giusto al posto giusto”, ma è anche fondamentale intervenire sugli strumenti di lavoro rendendoli il più possibile compatibili con le caratteristiche umane. L’applicazione pratica dei principi organizzativi della direzione scientifica del lavoro apre la strada alla prima catena di montaggio, introdotta negli stabilimenti della Ford Motors Company nel 1913. Questo ha portato alla modifica di tutta l’organizzazione del lavoro nelle industrie, superando i tradizionali metodi di produzione dell’epoca. Il taylorismo è stato fortemente criticato a causa dello sfruttamento intensivo del lavoro operaio e dell’alienazione che provoca ai lavoratori.

Il marxista Braverman vede il taylorismo come una progressiva degradazione del lavoro umano, dovuta alla separazione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale. Per Friedmann in un contesto industriale frenetico la soluzione dell’alienazione dei lavoratori è il recupero di un lavoro che abbia un significato. Dunque tutte le forze imprenditoriali e sociali devono operare affinché il lavoro abbia una triplice valorizzazione: intellettuale ripristinando contenuti intelligenti; morale riconoscendo diritti e dignità; sociale sviluppando una cooperazione comunitaria nell’azienda (Bonazzi, 2001). A partire dalla seconda metà del ‘900 il sistema tayloristico entra in crisi a causa della saturazione del mercato dei beni di massa, all’accresciuta concorrenza dei paesi di nuova industrializzazione e all’impennata sia dei prezzi del petrolio che delle materie prime. L’ufficio tempi e metodi ha cominciato a lasciare il suo posto ad un’impresa estesa che usa competenze e conoscenze prodotte da terzi e rende fluida una filiera composta da molti specialisti autonomi. Questo nuovo sistema, nato all’interno degli stabilimenti dell’azienda automobilistica Toyota in Giappone, ha assunto il nome di lean production.

Lean production

La lean production è la combinazione di nuove tecniche manageriali con macchine sofisticate al fine di realizzare più produzione con meno risorse e meno lavoro. Per raggiungere questi obiettivi il management si affida a squadre di lavoratori dalle competenze molteplici ad ogni livello dell’organizzazione. La via giapponese elimina la gerarchia manageriale tradizionale e la sostituisce con gruppi multiskilled che cooperano sul luogo di produzione. Il modello di lavoro basato sul gruppo genera maggiore efficienza perché incoraggia lo sviluppo di competenze molteplici nel lavoratore. Ispirandosi al modello giapponese, anche le imprese europee e americane hanno iniziato a mettere in atto cambiamenti nella struttura dell’organizzazione per adattarla alle nuove tecnologie, attraverso il reengineering. In questo nuovo modello organizzativo dell’impresa hanno sempre più importanza i ruoli di interfaccia che si occupano di comunicare, interagire e valutare le prestazioni cognitive. L’economia di oggi è così diventa cognitiva, essendo mossa da lavoro che si trasforma in conoscenza e, in seconda battuta, in conoscenza che si traduce in utilità, ossia valore. Un lavoro che non passasse per la produzione di conoscenza sarebbe oggi improduttivo nel 90% dei casi (Rullani, 2004).

Si può quindi affermare che il lavoro ha assunto una connotazione più complessa e mutevole: non si lavora più solo per guadagnare un salario, ma hanno un ruolo centrale i comportamenti innovativi, la capacità di assumersi i rischi e la disponibilità a cooperare.

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