
L’Italia nel processo di stagnazione
Economia delle regioni italiane
Nel 2018 il PIL italiano è cresciuto dello 0,7% rispetto all’anno precedente e, secondo l’ultimo bollettino diffuso da Banca d’Italia, è previsto in crescita dello 0,1% per l’anno in corso. Nel 2017 gli ultimi dati disponibili a livello regionale ci informano che a crescere di più in termini percentuali è stato il Nord ovest con un tasso di crescita pari al 2,2% rispetto all’anno precedente. Seguono, nell’ordine, Nord est (1,9%), Sud (1,2%), Centro (0,9%) e Isole, queste ultime con una variazione positiva del PIL pari allo 0,6%. Le disuguaglianze interregionali emergono chiaramente dal tasso di crescita medio annuo del PIL reale delle regioni a partire dal 2009, anno di profonda recessione. L’andamento del PIL negli ultimi anni ha permesso una ripresa rispetto al 2009 in ben nove regioni italiane. Il tasso di crescita medio annuo nell’intero periodo 2009-2017 è stato positivo, nell’ordine, per Basilicata, Trentino Alto Adige, Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto, Piemonte, Friuli-Venezia Giulia. In Basilicata la crescita del PIL reale è stata particolarmente positiva, permettendo un significativo recupero e rendendola l’unica tra le regioni del Mezzogiorno insieme all’Abruzzo a registrare una dinamica positiva nel periodo considerato.
In dieci anni il valore aggiunto delle attività economiche si è ridotto in tutta Italia attestandosi ad un livello inferiore del 2005 in tutte le aree geografiche ad eccezione del Nord est, dove già nel 2015 il valore aggiunto aveva recuperato i livelli di dieci anni prima, superandoli nel 2016 dell’3%. Negli ultimi tre anni di rilevazione, a partire dal 2014, si è comunque osservato un miglioramento in tutte le aree geografiche che permette di evidenziare una dinamica positiva del valore aggiunto in tutte le aree geografiche ma non nelle Isole. Qui la dinamica del valore aggiunto seguita ad essere in riduzione e nel 2016 è più bassa del 10% rispetto al 2005. Il recupero è invece particolarmente positivo al Sud, dove a partire dal 2014 il valore aggiunto delle attività economiche è migliorato del 3%.
Sul fronte dei rapporti con l’estero, si distinguono regioni italiane che registrano tipicamente saldi commerciali positivi e che hanno visto aumentare il loro valore assoluto in undici anni dal 2007 al 2018. È principalmente il caso di Emilia Romagna, Veneto, Piemonte e Toscana. Tra queste è l’Emilia Romagna a registrare il saldo commerciale più alto in entrambi gli anni, arrivando a superare i 27 miliardi di euro nel 2018. Affidandosi alla domanda estera che ha sostenuto in questi ultimi anni buona parte della nostra economia, alcuni saldi commerciali negativi si sono però attenuati nel tempo: da sottolineare il risultato della Lombardia che ha visto il suo saldo commerciale passare da -22 miliardi di € nel 2007 a -7 miliardi di euro nel 2018.
Il rilevamento Istat sulla struttura dell’industria e dei servizi nel 2016 delinea il quadro dell’attività di impresa tra le regioni italiane. La Valle d’Aosta è prima per presenza di imprese attive ogni mille EXECUTIVE SUMMARY 7 abitanti (87,5) seguita da Toscana (86,2) ed Emilia Romagna (82,5). In Valle d’Aosta è però inferiore il numero di imprese manifatturiere attive ogni mille abitanti che sono solo 5, con una lieve diminuzione rispetto all’anno precedente (5,2). Si conferma la vocazione manifatturiera delle Marche e della Toscana dove sono invece quasi il doppio le imprese manifatturiere attive ogni mille abitanti (rispettivamente 10,2 e 10). Le ultime tre regioni per attività di impresa sono tutte regioni del Mezzogiorno, Campania, Calabria e Sicilia. Queste presentano il minor numero di imprese attive ogni mille abitanti, ma è invece il Lazio a registrare il minor numero di imprese manifatturiere attive ogni mille abitanti (3,5). Sui mercati internazionali, si riconoscono per particolare dinamicità le imprese distrettuali italiane. Nel 2018, le esportazioni dei distretti italiani hanno raggiunto i 109 miliardi di euro, in aumento rispetto al 2017 del 2,2%. L’export distrettuale ha un peso rilevante rispetto all’export totale, soprattutto in determinate regioni, tra le quali spiccano il Trentino A.A. (52%), la Toscana (45%), e il Veneto (41%) che si collocano al di sopra del dato medio italiano (24%), di oltre 16 p.p. Anche il primo trimestre del 2019 ha mostrato segnali positivi per le esportazioni dei distretti italiani, che hanno riportato complessivamente una crescita del 2,7% rispetto allo stesso periodo del 2018. Se si guarda l’andamento per regione, spiccano le performance positive di Puglia (+17,3%), Toscana (+16%) e Piemonte (+8,4%).
Al termine del 2017 si registrano consistenze di Investimenti Diretti Esteri (IDE) in Italia per 350 miliardi di euro, mentre gli IDE italiani all’estero ammontano a 464 miliardi di euro. Nel periodo 2013-2017, i primi hanno registrato un tasso medio annuo di crescita del 7,3%, contro il 4,6% dei secondi. La maggior parte degli IDE in ingresso in Italia proviene dal Lussemburgo (il 21,1%), dai Paesi Bassi (19,1%) e dalla Francia (16,8%). Similmente, gli IDE italiani all’estero hanno come principali destinazioni i Paesi Bassi (l’11,4&%, il Lussemburgo (8,5%), la Germania (7,8%). Con riguardo ai settori produttivi maggiormente ricettivi di IDE in Italia, si distinguono le industrie chimiche, farmaceutiche e dei metalli non metalliferi, che costituiscono il 17,7% degli IDE, il commercio (16,9%) e l’intermediazione finanziaria e assicurativa (12,3%).
Nel 2018 risultano attive in Italia 14.173 imprese a partecipazione estera, in crescita del 24% rispetto al 2009. Nello stesso lasso di tempo sono cresciuti anche il numero degli addetti (+18,4%) e i volumi di fatturato (+22,9%) delle multinazionali, che hanno toccato rispettivamente gli 1,38 milioni di unità e i 621 miliardi di euro. Delle 14.173 multinazionali, 7.990 sono localizzate nel Nord Ovest (il 56% del totale), 3.318 nel Nord Est, 2.056 nel Centro e 809 nel Sud e nelle Isole. Soltanto la Lombardia presenta 6.455 multinazionali attive nel suo territorio (il 45,5% del totale), il Veneto 1.214 (l’8,5%), l’Emilia Romagna 1.212 (l’8,5%). Se mettiamo in relazione il numero di imprese a partecipazione estera con il numero di imprese attive nella regione per lo stesso anno, la media italiana di incidenza delle multinazionali sul tessuto produttivo è pari al 3,2% (con punte del 7,9% in Lombardia e del 7,4% in Trentino Alto Adige).
Tra il 2010 e il 2018 gli arrivi di turisti in Italia sono aumentati del 30%, oltrepassando i 128 milioni, e le presenze del 14%, approssimandosi ai 429 milioni. Nell’ultimo anno, gli arrivi e le presenze sono aumentati rispettivamente del 4% e del 2%. I turisti stranieri contribuiscono in misura maggiore alla crescita del comparto turistico italiano; arrivi e presenze dall’estero hanno registrato un incremento pari rispettivamente al 4,4% e al 2,8%. In particolare, l’Unione Europea fa la parte del leone: dai Paesi dell’UE provengono più di 37 milioni di arrivi e quasi 148 milioni di presenze. La Germania è il primo Stato estero per flussi turistici in Italia, con 12,2 milioni di arrivi e 58,6 milioni di presenze, seguono gli Stati Uniti e la Francia. Se guardiamo alle regioni italiane, in cima alla classifica per presenze, troviamo il Veneto, con più di 69 milioni di presenze, seguito da Trentino Alto Adige e Toscana, rispettivamente con 51,4 e 47,6 milioni di presenze. Il Veneto primeggia anche per presenza di turisti internazionali all’interno dei flussi turistici in ingresso, seguito da Lazio e Lombardia. Umbria e Basilicata sono le regioni che più hanno incrementato gli arrivi nell’ultimo anno, rispettivamente del 14,7% e del 13,4%.
L’indice di internazionalizzazione sintetizza i dati relativi alle esportazioni, alla presenza di multinazionali e ai flussi turistici in un unico valore rappresentativo della capacità di internazionalizzazione delle regioni italiane. Per il terzo anno consecutivo, i primi 4 posti in classifica sono occupati da Lombardia (100), Trentino Alto Adige (95), Veneto (84) ed Emilia Romagna (80). A fondo classifica, troviamo invece il Molise e la Calabria. Basilicata, Molise, Emilia Romagna e Umbria sono le regioni che più hanno migliorato il proprio punteggio rispetto al 2018.
La spesa in Ricerca e Sviluppo in Italia conta circa l’1,4% del PIL. Le percentuali più elevate sono raggiunte in Piemonte (2,1%), Emilia Romagna (2%), Lazio (1,7%) e Friuli-Venezia Giulia (1,6%). Il Piemonte è anche la regione dove è più alta la quota di spesa in R&S intra muros sostenuta dalle imprese, pari all’82% (Lombardia ed Emilia Romagna si attestano al 76%). In merito all’occupazione nel settore della ricerca, spiccano la Lombardia, con 27,7 mila ricercatori e 65,5 mila addetti (espressi in unità equivalenti a tempo pieno), il Lazio (18,7 mila ricercatori e 37,6 mila addetti) e l’Emilia Romagna (16,5 mila ricercatori e 42,1 mila addetti).
Le start-up italiane registrate nell’apposito albo risultano essere 10.676 al 18 novembre 2019: oltre la metà di queste è attiva nel Nord Italia; circa un quarto nel Meridione ed un quinto nel Centro Italia. Nel 2019 si calcola un numero di start-up 19 volte superiore rispetto al 2014, con un tasso di crescita medio annuo del 79% nell’arco di 5 anni. Nel Nord Italia si contano 214 start-up per ogni milione di abitanti contro le 178, in media, per le regioni centrali e le 126 per le regioni meridionali. La media italiana si colloca a 177 start-up per ogni milione di abitanti. Tra le regioni, sono Lombardia, Molise, Trentino Alto Adige e Marche a mostrare i valori pro-capite più elevati. Il 19% delle start-up italiane è caratterizzato da una prevalenza giovanile all’interno della compagine EXECUTIVE SUMMARY 9 societaria: per il 9% si tratta di una presenza giovanile esclusiva. Il tasso di sopravvivenza delle start-up va riducendosi significativamente con il passare degli anni: se delle start-up esistenti a inizio 2014 ben il 96% continuava ad essere attivo sul mercato un anno dopo, questa percentuale scende al 58% a inizio 2017 e al 15% a inizio 2019. I tassi di sopravvivenza a 5 anni più elevati si riscontrano in Abruzzo e in Sicilia.
Relativamente all’aspetto infrastrutturale i settori esaminati sono tre: telecomunicazioni, elettricità e trasporti. Per quanto concerne le TLC, secondo le elaborazioni I-Com sui dati degli operatori a giugno 2019 la copertura nazionale a 30 Mbps ha raggiunto quota 80,1% delle unità immobiliari. Tra le regioni, Sicilia e Puglia si confermano in testa con percentuali di copertura delle UI complessive pari rispettivamente all’88,8% e all’87,6%. La copertura del territorio appare meno estesa osservando i dati relativi al sottoinsieme delle connessioni in banda superiore o uguale a 200 Mbps (fino a 1 Gbps), ovvero quelle in modalità Fttb e Ftth. In questo segmento la Liguria si afferma come la regione più sviluppata con il 31,2% di unità immobiliari raggiunte, sensibilmente sopra la media nazionale, pari al 18,7% delle UI italiane. Relativamente la connettività in banda ultra-larga mobile su rete 4G, la copertura della popolazione presenta valori ormai vicini alla totalità (99,1%), ed anche a livello di singoli comuni raggiunti si rileva una percentuale vicina al 95% (94,8%). Parallelamente, gli operatori stanno sviluppando le nuove reti con lo standard 5G, che attualmente raggiunge Milano, Torino, Roma, Napoli, Bologna e Genova.
Con riguardo al settore energetico, la prima regione per densità di rete di trasmissione elettrica è la Lombardia, mentre la Campania primeggia in quanto a rete di distribuzione. Passando alle infrastrutture per il trasporto e distribuzione del gas, la Lombardia si conferma in testa alla classifica con una densità di rete di trasporto pari 187 m/Kmq e con una densità di rete di distribuzione pari a 2.015 m/Kmq. Relativamente alle infrastrutture per il trasporto, la Valle d’Aosta primeggia in quanto a rete autostradale; è, invece, il Piemonte a distinguersi per quanto riguarda la rete ferroviaria, quantomeno in termini assoluti (con una rete lunga 1.895 km), mentre in termini relativi è la Liguria ad occupare il primo posto (91 metri per ogni kmq di territorio regionale).
Per il trasporto aereo dominano certamente la Lombardia e il Lazio, quest’ultimo grazie al notevole apporto dell’aeroporto di Roma Fiumicino. Il trasporto marittimo, invece, è più sviluppato al Nord per quanto riguarda il trasporto merci e più al Centro e al Sud Italia per il trasporto passeggeri (complici i collegamenti con le isole).
Infine, l’Indice di sviluppo infrastrutturale I-Com 2019 non evidenzia particolari differenze in termini di risultati rispetto alla precedente edizione. Sul podio in prima e seconda posizione permangono Lombardia e Campania, seguite dal Veneto. Si evidenzia, però, che le Marche recuperano una posizione a svantaggio della Sicilia (passando dal nono all’ottavo posto), grazie a miglioramenti relativi alle infrastrutture TLC soprattutto di rete fissa e alle infrastrutture di distribuzione del gas.
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