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Parole, fatti e annotazioni – Storie generali

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Il sistema economico è governato da un insieme di regole. Ogni insieme di regole favorisce alcuni giocatori alle spese di altri. E le regole influiscono sul funzionamento dell’intero sistema. Negli ultimi trent’anni, abbiamo cambiato molte regole in modo frammentario, sotto l’influenza di un’ideologia per la quale le regole migliori erano quelle che interferivano il meno possibile con i mercati. Questo, almeno, era ciò che sostenevano i loro difensori. Ma, nella pratica, il loro programma è stato ben diverso. La deregolamentazione, infatti, non ha portato a meno, ma a più interventi sul mercato: c’è stata una minore interferenza negli anni precedenti alla crisi, ma molti più interventi nel periodo successivo. Tutto ciò era prevedibile ed era stato previsto. Ciò che i sostenitori del cosiddetto “libero mercato” stavano creando era un sistema che ho chiamato un “surrogato del capitalismo”, il cui elemento essenziale è la socializzazione delle perdite e la privatizzazione dei guadagni. Questo “surrogato del capitalismo” è strettamente legato al capitalismo delle grandi imprese promosso da Bush e da Reagan. In alcuni casi non c’è trasparenza su chi finisce per pagare i regali fatti alle imprese: alla fine, naturalmente, a pagare sono i cittadini come consumatori o contribuenti (spesso in modi che non sono facili da riconoscere, per esempio, attraverso la tassazione o l’aumento dei prezzi dei beni acquistati).

Alcune delle modifiche alla legislazione durante gli anni di Bush hanno colpito le persone più vulnerabili. Le norme che hanno reso la vita più difficile alle persone più indebitate (insieme alla mancanza di limiti ai tassi da usura che le banche potevano applicare) hanno reintrodotto negli Stati Uniti vincoli di servitù. Questo ha permesso alle banche di essere più avventate nel concedere prestiti, sapendo che esse avevano una maggiore possibilità di vederseli restituiti, con interessi, non importa quanto oltraggioso fosse il contratto. Si poteva sperare che scrupoli morali potessero prevenire il verificarsi di queste diffuse pratiche predatorie, ma l’avidità ha trionfato; con i regolatori del mercato che andavano a braccetto con le banche o erano accecati dall’ideologia del libero mercato, non c’è stato alcun controllo su tali pratiche abusive. Le banche avevano scoperto che c’era del denaro alla base della piramide sociale e hanno creato tecniche, e un sistema legale, per farlo muovere verso l’alto. Nessuno, guardando a ciò che è accaduto, direbbe che queste transazioni “volontarie” ma spesso ingannevoli hanno accresciuto il benessere di quelli che stavano alla base della piramide. Alla fine, a farne le spese è stato tutto il sistema mondiale.

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Ogni società si fonda su un senso di coesione sociale e di fiducia, sul senso di equità. Non dovremmo sottovalutare le conseguenze che la crisi (e il modo in cui è stata affrontata) hanno avuto nello spezzare il contratto sociale e tutti quegli elementi che garantiscono il corretto funzionamento di una società. Che i banchieri abbiano perso la fiducia dei loro clienti è ovvio; una banca che aveva attuato pratiche ingannevoli ha semplicemente sostenuto che prendere precauzioni era responsabilità di altri; le banche di cui ci si possa fidare appartengono chiaramente al passato. La disuguaglianza viene di solito giustificata con il fatto che chi è pagato molto ha reso un maggiore contributo alla società, di cui tutti beneficiamo. Ma quando chi paga le tasse finanzia i bonus dell’ordine di milioni di dollari che vanno ai banchieri (responsabili di perdite dell’ordine di miliardi di dollari per le loro aziende, e dell’ordine di migliaia di miliardi per la società) tutto questo non ha più alcun senso. Quando un esponente dell’amministrazione Obama ha annunciato il “doppio standard” (i lavoratori dovevano riscrivere i loro contratti per rendere le imprese dell’auto più competitive, ma i contratti dei banchieri erano sacrosanti e non potevano essere rivisti) anche questo ha mostrato che il sistema è fondamentalmente ingiusto, e che il governo, piuttosto che correggere le iniquità, vuole mantenerle.

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